Ci sono date, nella Storia, che lasciano il segno. Molte di queste le ricordiamo a tamburo battente. Di altre, invece, bisogna ogni tanto farne Memoria. Rigorosamente con la maiuscola. Anzi, mai sostantivo fu più azzeccato, visto che il 27 gennaio viene ricordato, da più di due lustri, come la Giornata in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono i pochi superstiti del campo di concentramento di Auschwitz, portando alla luce le atrocità del regime nazista. In tre parole, Giornata della Memoria. Ricca di avvenimenti e iniziative. Anche a Busto Arsizio, dove l’Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni (Villa Calcaterra, via Magenta 70) presieduto da un luminare in materia giuridica, con un’innata passione per il cinema, l’avvocato Alessandro Munari, ha organizzato per domani dalle ore 21 la proiezione del documentario Perché sono un genio! Lorenza Mazzetti di Steve Della Casa e Francesco Frisari (presente alla serata insieme alla protagonista, a Elisabetta Sgarbi, con la supervisione della direttrice Minnie Ferrara).
Lorenza Mazzetti, un nome e un cognome che rimandano al «genio» (di origini ebraiche) per antonomasia, Albert Einstein, la cui famiglia ha conosciuto le atrocità della Shoah. Esattamente, sebbene indirettamente, come Lorenza (divenuta nel dopoguerra uno dei massimi esponenti del movimento del Free Cinema, in forte contestazione al cinema britannico dell’epoca, ndr) che, rimasta orfana di madre insieme alla gemella Paola, fu affidata alla zia, sorella del padre, sposata con Robert Einstein, cugino di Albert. I tedeschi occuparono la villa alle porte di Firenze dove viveva la famiglia, cercando proprio Robert, che però riuscì a nascondersi. Per tutta risposta la Wehrmacht sterminò la moglie e le figlie, risparmiando proprio Lorenza e Paola, in ragione del cognome diverso. Che, però, assistettero impotenti all’eccidio, lasciando in loro un segno indelebile e permanente.
Una storia che Lorenza (che ha, come ha dichiarato di recente in un’intervista, «riconosciuto sul web» chi ha sterminato la sua famiglia, tanto da andare in Germania a denunciarlo) ha voluto raccontare nel documentario che verrà proiettato venerdì sera. Perché «sono passati tanti anni, ma mai abbastanza per smettere di chiedere giustizia».
Valerio Barghini