Il 30 aprile 1986 veniva realizzata da Pisa la prima connessione via satellite alla rete globale. Dopo oltre trent’anni la divaricazione del giudizio, magari parossistica, ma certamente non astratta, sui nuovi media e, in particolare, sul percorso di sviluppo (inarrestabile) della rete internet, è tra “apocalittici e integrati” ovverossia tra chi vede nella comunicazione digitale e nel web la rovina delle capacità relazionali degli utenti, il decadimento della cultura, la fine della buona scrittura, il trionfo della approssimazione a detrimento della ricerca e dell’approfondimento ragionato e metodico, e chi invece vi scorge la vera risorsa del futuro promotrice di una forma semplificata di interazione globale e di accesso alla circolazione del sapere, inteso non in senso aulico o filosofi- co, ma come conoscenza o informazione di un fatto.
Il sistema crossmediale consente che le informazioni siano emesse, completate e con- divise in ragione dell’interazione tra media di età diverse (come televisione, Internet e Twitter per esempio). Il risultato? Si assiste a performance comunicative trasversali e glo- bali che rivoluzionano la nomenclatura della comunicazione. L’informazione, intesa come ogni elemento della realtà che ci circonda, si esaurisce sempre più frequentemente nel consentire al singolo la possibilità di espri- mere liberamente il proprio pensiero senza tuttavia aggiungere a questa prerogativa per- sonale la funzione sociale tipica dell’infor- mazione giornalistica, finalizzata all’evolu- zione culturale della società la quale, attra- verso la sua partecipazione ed elaborazione, contribuisce al suo controllo.
Fino a quasi tutto il secolo scorso sussisteva una sostanziale coincidenza tra informazione e giornalismo. L’avvento della comunicazione ha infranto gli schemi: Internet rap- presenta uno strumento di comunicazione destrutturato, con una base e un potere diffuso, pressoché illimitati. Al contrario dei mezzi di informazione tradizionali, organizzati secondo un sistema centralizzato e apicale, con una netta distinzione tra coloro che “fan- no” comunicazione e l’utente finale che quella comunicazione fruisce e “subisce”, nella Rete tutti sono fruitori, non semplice- mente passivi, ma anche e soprattutto attivi. Il pubblico non è più o soltanto destinatario di dati e notizie, ma è produttore e diffusore dinamico di contenuti e informazione. Conseguentemente i messaggi, così come i com- portamenti e le scelte ad essi sottesi, per gli interessi, i diritti e le libertà che involgono, acquisiscono vita propria, indipendente- mente dalla fonte che li ha generati. Essi con- sentono la divulgazione e la condivisione di giudizi e opinioni in grado di influenzarne altri, sotto il profilo sociale, etico, politico, religioso, scientifico.
In questa tumultuosa rivoluzione epocale dell’informazione i giuristi hanno il compito di dare ai nuovi media una collocazione e una tutela giuridiche, nella piena consapevolezza che l’informazione nelle sue molteplici accezioni è un fenomeno tutt’altro che neutrale. Occorre trovare un equilibrio tra l’astratto diritto di informazione, la sua applicazione e le conseguenze pratiche e ciò al fine di impedire la legittimazione di uno spazio anonimo – quale può essere la Rete – in cui tutto è permesso e nulla vietato e ove i diritti fondamentali della persona tendono a essere impunemente violati anziché promossi.
In questo universo immateriale che ha reso arcaici i tradizionali mezzi di stampa e di diffusione e ha permesso a ciascuna persona di accedere ai contenuti pubblicati e di contribuire attivamente al processo di arricchimento dei dati e delle informazioni disponibili, la soluzione giuridica ai problemi di chi lede la reputazione altrui in Rete o incentiva la disinformazione, passa attraverso l’interpretazione, l’applicazione o disapplicazione della normativa esistente pensata e legiferata per i mezzi c.d. tradizionali di comunicazione, soluzione che necessariamente prevede un ruolo primario della magistratura.
Nel silenzio della nostra Costituzione che non prevede né disciplina il ‘diritto all’informazione’, la Corte costituzionale ha da sempre ricondotto questo diritto nell’ambito della tutela riservata dalla Costituzione alla libera manifestazione del pensiero sulla considerazione che le opinioni, i commenti, le notizie ne sono tutte espressioni. Peraltro già la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, riconosce che l’esercizio della libertà di espressione comprende sia la libertà di opinione sia la libertà di ricevere o di comunicare le informazioni e le idee senza che possa esservi ingerenza di autorità pubbliche. Anticipando gli effetti della digitalizzazione, la Corte Costituzionale ha dunque delineato in maniera netta la portata generale dell’art. 21 Cost. quale affermazione e garanzia della libertà di manifestazione del pensiero, intesa tanto come diritto di informare, quanto di essere informati, con qualsiasi mezzo di diffusione. Spetta ora ai giudici disciplinarne i limiti in Rete, replicando quanto già fece la Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia del 18 ottobre 1984, n. 5259, conosciuta come “sentenza decalogo”, in cui vennero fissati i principi cardine in tema di responsabilità civile da diffamazione a mezzo stampa, che da oltre trent’anni rap- presentano il parametro di riferimento di ogni analisi sull’offensività di uno scritto, ovviamente in ambito nazionale. In attesa di un efficace e puntuale intervento legislativo che disciplini questa nuova forma di “giornalismo partecipativo” che è rappresentato dai social e dagli strumenti messi a disposizione dai colossi della Rete con una redazione virtuale composta da milioni di corrispondenti sparsi in tutto il mondo e capaci di cogliere qualsiasi avvenimento e di attribuirgli risonanza globale, la giurisprudenza ha già espresso e perfezionato un primo orientamento su alcuni aspetti fondamentali legati ai rischi della funzione comunicativa e alle potenzialità espressive della Rete.
Il web consente a tutti gli utenti di formulare domande e risposte su forum, chat, aprire e scrivere blog, esprimere commenti su blog di altri, recensire e commentare i servizi di alberghi, locali oppure libri, nonché prendere parte a discussioni aperte a un numero indeterminato di soggetti, trasformando ogni utente di internet in un potenziale oratore pubblico e il mezzo stesso in una piazza virtuale. Queste attività sono tutte rese possibili dai provider, coloro che mettono a disposizione degli utenti una serie di servi- zi, tra cui lo spazio virtuale nel quale gli utenti operano, nonché i server sui quali vengono memorizzati o transitano i dati. Il ruolo ineludibile del provider porterebbe a ritenere che su di esso si vadano ad accentrare tutte (o gran parte) delle responsabilità inerenti a eventuali illeciti civili o penali. Ma è veramente così?
Il principio uniformatore per l’internet service provider è quello della Net neutrality, ovvero di un sistema basato su una sostanziale esenzione di responsabilità per i contenuti antigiuridici immessi in Rete dai propri clienti, nel caso in cui non conoscano né controllino i dati trasmessi o memorizzati. Il principio ispiratore della disciplina, nata per disciplinare la materia dell’e-commerce, è che il provider non ha alcun obbligo di sorveglianza, né può essergli imposto di dotarsi di un sistema generale in grado di filtrare le comunicazioni e i dati degli utenti. La giurisprudenza ha tuttavia tentato di ampliare il novero delle responsabilità in capo ai provider al fine di affrontare adeguatamente le multiformi fattispecie che con sempre più frequenza vengono sottoposte all’attenzione dei giudici nei casi in cui l’attività di presta- tore di servizi della società dell’informazione non sia di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e dunque, implichi che egli conosca e controlli le informazioni tra- smesse e memorizzate. E ad onor del vero, anche alla luce del dilagante abuso di internet, i colossi della Rete – adeguatamente sollecitati – si stanno dotando di sistemi di controllo volti a (o a tentare di) contrastare contenuti illeciti.
La persona offesa è comunque legittimata ad agire nei confronti del gestore del sito o del provider affinché il messaggio diffamatorio o, in generale, illecito sia rimosso. Ovviamente la responsabilità principale rimane a carico dell’autore del messaggio, sempre che sia agevolmente individuabile. L’identificazione del responsabile è tanto più ardua quanto è meno strutturato lo spazio virtuale in cui il post è lasciato. Le testate telematiche registrate, anche qualora l’autore dello scritto resti anonimo, consentono di determinare un responsabile, cosa che non avviene in chat, forum, blog e bacheche telematiche, non essendo sottoposti alle tutele e agli obblighi previsti per i prodotti editoriali. L’orientamento dominante, avallato dalla giurisprudenza di legittimità, nega l’applicabilità della normativa sulla stampa ad internet. In ragione dell’ineludibile principio di diritto penale nullum crimen sine lege e del divieto di analogia in malam partem, la Suprema Corte di cassazione prende le mosse dalla ontologica differenza dei due mezzi di comunicazione (carta e web) e conclude a favore dell’impossibilità di reperire all’interno dell’ordinamento una norma giuridica che permetta l’estensione della disciplina prevista per l’informazione “classica”: le disposizioni incriminatrici o le aggravanti in tema di car- ta stampata non si applicano al diverso setto- re dell’informazione diffusa on line. E questo anche con riferimento al reato di omesso controllo.
Dunque chi risponde degli scritti denigratori pubblicati o postati su un blog? Il blog è una sorta di diario virtuale del suo autore, con il quale i lettori possono interloquire, postando commenti, idee e riflessioni, generalmente correlati ai temi di volta in volta proposti dal gestore del sito. Talvolta i commenti dei lettori possono essere filtrati dal blogger, che seleziona quali pubblicare, altre volte (e abitualmente) essi vengono automaticamente immessi sul web, senza alcun intervento. Alla luce dell’orientamento tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, nonostante alcune isolate contrarie pronunce di merito, in attesa di un necessario intervento legislativo sul punto, il blogger pertanto sarà responsabile penalmente dei messaggi postati dai suoi followers sul suo blog (in concorso con il loro autore o, in via autonoma, se questi non sia identificato), solo se li ha selezionati e dunque ha volontariamente (con dolo) scelto di pubblicarli o di mantenerli sul proprio sito (e questo vale in generale per tutti gli scritti anonimi). Ancora il blogger può essere ritenuto responsabile qualora rifiuti di rimuovere tempestivamente un commento offensivo nei confronti di chiunque, impedendo la limitazione di danni altrui. In tal senso, e non per la specifica responsabilità penale dello scritto offensivo, può essere avviata un’azione giudiziaria nei suoi confronti.
E la persona offesa può chiedere il sequestro della pagina del blog asseritamente lesiva? E di una testata on line? La risposta, antitetica, sta nella qualificazione della natura giuridica della testata telematica che non può essere estesa anche ai siti internet, quali i blog. Un giornale telematico, sia esso riproduzione di quello cartaceo, oppure unica e autonoma fonte di informazione, è un prodotto editoriale e dunque disciplinato dalla Legge sulla Stampa: esso non può essere sottoposto a sequestro preventivo, in ipotesi di diffamazione. Al contrario, le forme di comunicazione telematica (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook) sebbene rappresentino certamente espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, in quanto generici siti internet non sono soggetti alle tutele e agli obblighi previsti dalla normativa sulla stampa e, dunque, possono essere sottoposti a sequestro.
Con riferimento al sequestro la giurisprudenza afferma un principio fondamentale: la necessità di tenere ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie e informazioni via web da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. Un criterio cardine che dovrebbe ispirare l’approccio e la regolamentazione di tut- to ciò che naviga in Rete e che, a torto e a totale detrimento del giornalismo e della stampa, viene etichettato come informazione.
Alessandra Fossati