Ha ben detto Maria Latella, nota giornalista televisiva e della carta stampata: “Di questi tempi è encomiabile chi si avventura nel mondo dell’editoria”. Un po’ come hanno fatto quattro avvocati di Milano del noto studio Munari-Cavani che hanno dato vita alla MCPublishing, casa editrice “costola” dello studio e che si pone l’obiettivo – come si legge testualmente nella mission – di “allargare i confini culturali e tradizionali dell’attività professionale”. La prima opera della neonata avventura editoriale, tuttavia, non poteva che avere un oggetto giuridico: La diffamazione tra media nuovi e tradizionali, scritto da un’esperta in diritto dell’informazione, l’avvocato Alessandra B. Fossati con la collaborazione, in alcune sue parti, dell’avvocato Massimo Di Muro. Opera che ha avuto il suo meritato e prestigioso palcoscenico romano in occasione della presentazione avvenuta al Sala Conferenze di Palazzo Theodoli-Bianchelli presso la Camera dei Deputati durante un partecipato confronto tra l’autrice; la giornalista, blogger e scrittrice Maria Latella; il giornalista Daniele Chieffi, responsabile per la Comunicazione digitale di Agi ed Eni e Matteo G. Flora, esperto di propaganda digitale. Tutti moderati da Alessandro Munari, uno dei due fondatori dello studio legale insieme a Raffaele Cavani. Un vivace dibattito durante il quale si è trattato il tema della diffamazione ma non solo: anche quello delle cosiddette fake news.
E non è stato certo edificante apprendere che i primi a mettere in circolazione le cosiddette “bufale” sono proprio i giornali, come ha sottolineato Flora. La parola dominante negli interventi di Maria Latella e Daniele Chieffi è stata “responsabilizzazione”: ognuno, in pratica, deve ritenersi responsabile di ciò che scrive in rete. Soprattutto in un’epoca in cui informazione può non essere più sinonimo solo di giornalismo. Dunque quali responsabilità per un post lesivo della reputazione altrui o di un commento lasciato da un follower su un blog? Ma anche un articolo di giornale: si ha la “consapevolezza” (altro sostantivo ricorrente durante i sapienti interventi) che quanto scritto rimarrà sine die sulla rete? Tutte tematiche importanti. Perché sarà pur vero, come scrive l’avvocato Fossati, “da Johann Gutenberg a Mark Zuckerberg molto è cambiato”, ma è altrettanto vero che “l’anarchia della rete è più uno stato mentale o un approccio non corretto del mezzo”. Ed essendo nel tempio del potere legislativo per antonomasia, un auspicio finale: che il Parlamento intervenga, appunto, legislativamente per porre rimedio a quella che rischia di divenire una vera e propria giungla della rete.
Valerio Barghini
© riproduzione riservata